Assodato che Industria 4.0 è la leva chiave per rilanciare la manifattura a livello globale, occorre chiedersi: “Quanto sono pronte le imprese Italiane ad abbracciare concretamente la rivoluzione 4.0?”
A questa domanda ha provato a dare risposta la seconda edizione della ricerca targata RISE – Università degli Studi di Brescia, che ha coinvolto 105 aziende manifatturiere, eterogenee sia in termini di dimensioni, sia in termini di comparti industriali.
Incrociando il numero delle tecnologie conosciute con quelle effettivamente implementate, è stato possibile posizionare le aziende all’interno di questa matrice.
Emergono 6 cluster principali:
In definitiva, una buona metà del campione di indagine non sta muovendo alcun passo verso il paradigma 4.0, se non qualche limitato carotaggio teorico del tutto preliminare. Per fortuna, dall’altro lato, c’è un 35% di aziende che al contrario sono già “in cammino”, attraverso quantomeno dei progetti pilota. Pochissime (5%) sono infine le imprese già oggi a tutti gli effetti 4.0, capaci di far convivere diverse tecnologie all’interno di un ecosistema, spesso allargato in ottica di filiera a clienti e fornitori.
Essere Industria 4.0 non significa abbracciare 1-2 tecnologie digitali per rispondere a specifiche esigenze, magari di singoli reparti o aree di business, senza una vera integrazione/interconnessione.
Essere Industria 4.0 vuol dire applicare in modo pervasivo, all’interno dei propri processi, diverse tecnologie digitaliin grado di comunicare e scambiare dati e informazioni, per prendere decisioni rapide e consapevoli, gestire in tempo reale cambiamenti improvvisi del contesto, essere flessibili nell’applicare le modifiche necessarie, nonché garantire livelli di efficienza e sostenibilità (sempre più) elevati.
Dalla ricerca emerge un messaggio per certi versi quasi scontato ma non per questo poco importante: anche in industria 4.0, le dimensioni contano.
Delle imprese facenti parte le classi dei RITARDATARI, dei PRATICONI e dei TEORICI, cioè le più lontane dal paradigma 4.0, il 75% sono PMI. In altri termini, le PMI appaiono meno pronte alla trasformazione 4.0, non solo in termini di risorse investibili, bensì anche e soprattutto in termini culturali.
Dall’altro lato però ciò non significa che le PMI non possano accedere alla rivoluzione 4.0 in atto: per definizione tutte le aziende possono approcciare la trasformazione digitale delle proprie attività. La riprova sta nel fatto che 1 delle 5 stelle del campione è proprio una PMI.
La volontà di cambiamento deve nascere direttamente dal vertice, che deve essere in grado di tracciare la vision e pilotare le persone al conseguimento degli obiettivi prefissati.
A fronte di questa guida decisa e sicura, è strettamente necessario che l’intera organizzazione aziendale abbracci il paradigma 4.0, rivedendo i propri processi e i propri ruoli, eventualmente riqualificando le competenze di quelle risorse che non risultassero essere allineate con le nuove tecnologie.
Infine, perché questo cambiamento possa avvenire nel minor tempo possibile, è strettamente necessario che un’azienda abbia già intrapreso il percorso per poter essere quantomeno 0, cioè dotata di processi adeguatamente informatizzati e integrati tra di loro.
In poche parole, per diventare Industria 4.0, le aziende è bene che siano già 3.0.
Tale prerequisito di natura tecnologica influenzerà la velocità con la quale le imprese potranno divenire 4.0.
Coloro che ad oggi hanno già svolto il percorso di informatizzazione, disporranno delle fondamenta grazie a cui potersi dedicare alla trasformazione digitale dei propri processi.
Per quelle aziende che, invece, non hanno ancora completato il proprio percorso di informatizzazione, la strada verso il paradigma 4.0 sarà più lunga e articolata, dovendo in prima battuta terminare la costruzione delle fondamenta per questa trasformazione.
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